Mi auguro che ipartiti che hanno vinto le elezioni del 4 marzo siano presto in grado di produrreun governo utile all’Italia. I toni e gli slogan della campagna elettorale,dominati da quello che De Rita chiama “presentismo”, ci consegnano però rafforzato un problema da tempo evidente: la grande difficoltà delle forze politicheesistenti a produrre visioni in grado di unificare il Paese, di mobilitare lemigliori energie e orientarle al futuro.
C’è uno spazio, cheovviamente non surroga il ruolo dei partiti, per corpi intermedi, forze economiche e sociali, centri diriflessione, in grado di mettere in campo visioni e azioni che aiutino l’Italiaa ritrovare una bussola convincente.
E’ quello che hannofatto Confindustria e Cgil, Cisl e Uil all’indomani del voto con il “pattodella fabbrica” e che aveva fatto la stessa Confindustria nell’Assise di Verona.E’ quello che fanno i soggetti grandi epiccoli, che non si sottraggono alla responsabilità comune rispetto alle sfide che abbiamo davanti. Unimportante contributo in questo senso è stato dato anche dal Sole24Ore con ildibattito avviato dall’intervento di Calenda e Bentivogli per “favorire lacostruzione del futuro”. Siccomecondivido buona parte della considerazioni lì svolte, provo a dire quali sono,a mio avviso, le lacune da colmare.
Innanzitutto, lohanno detto in termini diversi sia Mauro Magatti che Leonardo Becchetti, mancauna meta mobilitante. Per dirla con SAINT EXUPERY “se vuoi costruire una nave, non radunare gliuomini solo per raccogliere il legno e distribuire compiti, ma insegna loro lanostalgia del mare ampio e infinito”. Questa meta non può che essere uno sviluppo sostenibile,così come definito dagli obiettivi dell’ONU al 2030. Una prospettiva nellaquale sia possibile affrontare i problemi aperti e collegare l’innovazionetecnologica ad un’economia più a misura d’uomo. Non è un appello ai buonisentimenti, ma un formidabile fattore competitivo. Già oggi, come racconta ilrapporto Green Italy della Fondazione Symbola e di Unioncamere, il 33% delleimprese manifatturiere italiane ha fattoinvestimenti orientati all’ambiente. Sonoquelle che innovano di più, esportano dipiù e producono più occupazione: il 40% deiposti di lavoro (320.000) creati nel2017 sono legati all’ambiente. Percentuale che sale al 60% nel settore dellaRicerca e Sviluppo. Sono proprio questele imprese che più incrociano con la propria attività Industria 4.0.
Sacrosanto poiprendersi cura degli spiazzati dall’emergere di tecnologie “disruptive”, degli sconfitti. E lo si è fattotroppo poco. Si può, però, se si guardaal nostro Paese senza pigrizia, allargare moltissimo il campo dei partecipantialla sfida. Perché non considerare conpiù attenzione settori ad alta intensità di lavoro che sono al tempo stesso formidabili frontiere diinnovazione. Penso ad esempio all’agricoltura legata al territorio e alla qualità, non a caso un settore dove si creano molte imprese giovani e femminili. Allanuova edilizia legata alla riqualificazione di edifici ed aree urbane, al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili,alla sicurezza antisismica. Proprio dove più abbiamo pagato la crisi, con oltre500mila posti di lavoro persi, può partire anche un grande incubatore di futuro,anche nelle zone colpite dal terremoto.
Innovazione non è poisolo tecnologia. Il recupero di un vitigno autoctono può essere altrettantoimportante di un nuovo monomero ela frontiera della bellezza, che dasempre attraversa il nostro artigianato e la nostra manifattura, si può oggi ibridarecon le stampanti 3D, ma non perde nulla delle sue capacità generative.
C’è infine un altropunto su cui spero Calenda e Bentivogli siano d’accordo. Di fronte alle sfide comuniche tutto il mondo ha davanti, esisteuna specifica maniera dell’Europa, e soprattutto dell’Italia, di stare incampo, senza sottrarsi a nessuno dei cambiamenti necessari. Le nostre impresemigliori, inclusa larga parte del tessuto delle PMI, sono spesso caratterizzateda un rapporto positivo con i lavoratori, con il territorio, con le comunità.Non perché sono più “buone” ma perché sono più intelligenti, anche se leagenzie di rating non sono in grado di valutarlo. Queste imprese hanno iscrittonel patrimonio genetico che la coesione e il capitale umano sono fondamentaliper un’economia orientata alla qualità e alla bellezza
Un’assunzione comunedi responsabilità è quello che ho visto nel “Patto della Fabbrica”. Se tutti simetteranno in gioco e faranno la loro parte, potremmo forse avvicinare quelloche serve veramente al Paese: un Patto per l’Italia e per il Futuro. Se non oraCome dice un proverbio africano: “Se vuoiandare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme agli altri”.
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team_realacci il 19/3/2018 alle 15:48
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